News

Il Team Rifugiati di Tokyo 2020

In molti non sanno che a gareggiare alle Olimpiadi c’è anche un Team Rifugiati.

C’è grazie a un progetto del Comitato Olimpico Internazionale sperimentato a Rio 5 anni fa e ampliato quest’anno.

La squadra in questa edizione conta 29 sportivi da 11 nazioni, impegnati in dodici discipline. Vengono da Sud Sudan, dalla Siria, dall’Eritrea, ma anche da Iran e Afghanistan.

Questi atleti, apolidi per definizione e atleti olimpici per scelta, neanche a dirlo, hanno storie di riscatto bellissime.

La storia di Masomah Ali Zada le riassume tutte. “Ho imparato ad andare in bicicletta a 8 anni, lo voleva mio padre quando eravamo in Iran – racconta la 25enne ciclista afgana, di minoranza hazare ed emigrata in Francia – ma quando sono tornata a Kabul, era tutto diverso: le ragazze non potevano uscire di casa, ci rompevano le bici. Da noi senti sempre ripetere che le donne non sono capaci, che non ce la fanno. Ma la mia presenza ai Giochi è la miglior risposta a chi dice che noi ragazze non possiamo fare quel che vogliamo”.

Le Olimpiadi di per sé sono una manifestazione dall’altissimo valore simbolico per una sacco di motivi. Con un progetto simile, lo sono per un motivo in più.