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A proposito dello ius scholae

La Camera dei Deputati in questi giorni ha cominciato a discutere dello ius scholae, la legge che concederebbe la cittadinanza italiana a tutti i figli di genitori stranieri che hanno completato almeno un ciclo scolastico in Italia, senza dover aspettare il compimento dei 18 anni.

Perché è utile e anche urgente il provvedimento?

Condividiamo l’analisi del sociologo Stefano Allievi.

Perché l’acquisizione della cittadinanza è regolata da una legge del 1992: trent’anni fa, quando ancora le seconde generazioni erano pressoché inesistenti.

Perché la legge italiana è una delle più restrittive dell’Europa occidentale, e più restrittiva persino della legge italiana del 1912 e delle norme previste dallo Statuto albertino.

Per tutta la serie di problemi pratici che la legge attuale causa a questi ragazzi considerati stranieri ma italiani di fatto: non poter andare all’estero nemmeno in gita scolastica, non poter rappresentare l’Italia nello sport agonistico, non poter partecipare a concorsi pubblici.

Oltre a questi aspetti, lo ius scholae avrebbe anche un alto valore simbolico ed è rivendicata per questi motivi dai ragazzi di seconda generazione: che non si sentono affatto diversi, e vorrebbero semplicemente essere trattati come gli altri.

La cittadinanza è “il diritto di avere diritti” scriveva Hannah Arendt. Lo ius scholae si deve fare!